Reggio Calabria: "un congresso anomalo, si parla di programmi" Il trono della democrazia si conquista con il progetto liberaldemocratico di Francesco Nucara Il primo manifesto che appare all’interno dell’opuscolo "Pensiamo al presente guardando al futuro", realizzato da un gruppo di amici per il congresso provinciale di Reggio Calabria, ha come slogan "Recuperiamo il nostro ruolo". E’ questo che si è inteso prospettare in un congresso provinciale che doveva rappresentare, e a mio avviso ha rappresentato, il disegno del ruolo del partito nei confronti della contemporaneità, il rilancio della tradizione rinnovandone contenuti e metodi. E’ stato definito un congresso anomalo, perché invece di parlare di politica-politicante, di alleanze più o meno ibride, si è preferito presentare un programma che qualcuno ha inteso definire elettorale. Così non è, poiché elezioni locali, per adesso, non se ne intravedono. Ancora una volta si è preferito parlare di contenuti, lanciando un appello a tutte le forze politiche e sociali che quei contenuti potrebbero condividere. Secondo Giorgio Galli: "Se è vero che il trono della democrazia è oggi vuoto – non vi risiede né il popolo né lo stato, né il soggetto né i partiti (da parte sua, il capitalismo non è interessato a definirsi democratico perché si reputa oggettivo e naturale, esterno e superiore alla politica) – è vero anche che quel trono c’è ancora. Nel bene e nel male". E allora se il trono esiste, bisogna occuparlo, tenendo presente le parole della citazione testé riportata. Per occupare il trono della democrazia occorre un progetto innovativo, che concili le libertà individuali con la sovranità popolare, e questo si può realizzare soltanto con un progetto liberaldemocratico. Sosteneva Giovanni Bovio "Definirsi o sparire". Non volendo sparire, intendiamo definirci liberaldemocratici non solo con gli atti e le teorie, ma calando i progetti nella realtà del quotidiano e cercando di attuarli malgrado tutte le difficoltà. La sola definizione di liberaldemocrazia è insufficiente, e si presta a confusioni e confusione con quanti si dichiarano liberaldemocratici senza esserlo. Solo perché è di moda. Come tempo fa era di moda dichiararsi riformisti. Il progetto repubblicano nulla ha a che vedere con la "rivoluzione liberale" auspicata da Massimo D’Alema appena eletto segretario del Partito democratico, come nulla ha a che vedere con "la rivoluzione liberale" di Berlusconi. Ed entrambe nulla hanno a che vedere con la "rivoluzione liberale" di Gobetti. Possiamo considerare il nostro progetto liberaldemocratico come erede naturale del liberalsocialismo di Guido Calogero, di Aldo Garosci, e di "Giustizia e Libertà" dei fratelli Rosselli, oltre che del già segretario nazionale del PRI Giulio Andrea Belloni. I repubblicani considerano la libertà un bene primario, per cui val la pena di combattere fino allo spasimo. Considerano altresì un valore assoluto l’iniziativa privata, con il limite del pubblico interesse. Da qui nasce il valore sociale dell’impresa, che deve svolgere una precisa missione sotto l’opportuna vigilanza dello Stato, la quale non può in nessun caso trasformarsi in tutela. Siamo stati sempre fautori del cooperativismo e lo siamo tuttora, consci che nel frattempo alcune aziende cooperative sono diventate vere e proprie imprese dal sapore capitalista. Sulla base di questi concetti e seguendo la linea dei programmi, senza tener conto degli schieramenti, abbiamo voluto indicare la via da percorrere per poter rilanciare Reggio Calabria e la sua provincia, non risparmiando, anzi accentuando critiche agli alleati, pur nella considerazione che la cosiddetta sinistra da molto tempo è completamente "acefala". "Il PRI – come è stato scritto - è il futuro – chi non lo vuole realizzare è pregato di farsi da parte" – vale per gli alleati ma vale anche per i repubblicani, che non perdono occasione di dare picconate ad un partito che dovrebbe essere anche il loro, ma ai cui obbiettivi platealmente non tendono. Mai domi! Così chiude il programma presentato a Reggio Calabria. Noi siamo il partito della modernità, che non intende subire la globalizzazione ma pretende di accompagnarla, sfruttandone i vantaggi, senza cadere in recriminazioni ideologiche lontanissime dalla realtà e foriere di arretramenti culturali ed economici. Come italiani, prima ancora che come repubblicani, abbiamo il dovere di ricercare vie nuove. Dopo i danni del ‘900 con il fascismo, il nazismo, il comunismo, il castrismo e i loro sottoprodotti (di cui qualche esempio abbiamo anche in Italia), dobbiamo proporci come fautori di nuovi percorsi, lasciando da parte la così detta terza via, che Abbagnano così definisce: "La terza via non è l’anticipazione o il modello o il progetto di un ordinamento politico ed economico, ma il progetto di un uomo che deve salvare se stesso". Se pensiamo alla nostra storia come riferimento, senza avere l’inutile pretesa di farla rivivere (la storia non si ripete), dobbiamo riflettere su come inglobare le idee del passato nel presente e proiettarle nel nostro futuro. Un punto di riferimento culturale da mettere nel nostro progetto liberaldemocratico ci viene fornito dall’ultimo Bobbio, che nella sua "Autobiografia" scrive: "Sempre interpretato il liberalsocialismo non come una formula filosofica ma come il programma di un compromesso politico che avrebbe dovuto trovare la sua attenzione, come ben vide Calamandrei, nel riconoscimento dei diritti sociali, richiesti dalla tradizione del movimento socialista come precondizione del pieno esercizio dei diritti di libertà, richiesti dalla tradizione liberale". |